Storia

In quei giorni non mi sentivo molto bene, mi capitava spesso di sentire dei brividi lungo tutto il corpo, la sensazione era quella di un influenza in arrivo anche se eravamo in piena estate, la fine di luglio per essere precisi. Io e i miei amici facevamo le prove musicali tutte le sere, per esser pronti all’appuntamento con la festa della birra dove dovevamo suonare con la Band. Eravamo emozionatissimi, finalmente una serata tutta per noi!

Mancavano pochi giorni per debuttare, ma quei brividi si facevano sempre più frequenti, per questo motivo andai dal medico di famiglia, il quale, dopo una visita veloce mi disse che ero stressato e dovevo prenderla con più calma. Stavo più tranquillo, ma una sera durante le ultime prove con la Band capitò un particolare: mentre facevamo il solito break si andava tutti a far pipì, perché le birre che ci davano lo sprint da qualche parte dovevano pur uscire!

Io, sempre molto riservato, in quei frangenti mi appartavo con vergogna e voglia di una piccola privacy.

Sentii un pò di bruciore proprio li, la cosa mi preoccupava (provai la stessa sensazione quando ero militare, prima di essere affetto da una malattia chiamata ‘sifilide’) fu questa a farmi scoprire che la mia fidanzata aveva una storia con un altro tipo, (‘l’untore’). Più tardi, prima di andare a dormire, controllai, anzi ispezionai con molta attenzione gli slip, purtroppo c’erano delle macchie giallastre, quelle macchie che in passato anticiparono l’arrivo di un’infezione che mi fece passare momenti difficili. Quella notte non riuscii a chiudere occhio, ero preoccupatissimo. Il giorno dopo, ansioso e impaurito andai di nuovo dal medico di famiglia, per spiegare, con molto imbarazzo, quello che mi stava capitando.

La visita durò pochi minuti, l’infezione era già visibile, e mentre mi rivestivo il medico quasi arrabbiato disse:

  • Benedetto ragazzo, ma io dico, un giovane come te deve andare a Puttane per sfogare i propri bisogni sessuali? Almeno usa il preservativo! Rimasi impietrito. Ero sbalordito e incredulo, di fronte a quel comportamento poco diplomatico e aggressivo. E’ vero che era il medico di famiglia che conoscevo sin dall’infanzia, ma questo non gli dava il diritto di trattarmi a quella maniera, specialmente in una situazione del genere.

Rimasi calmo e con le lacrime agli occhi cercavo di spiegare che erano anni che non avevo rapporti sessuali, precisamente dall’ultima infezione, la quale segnò pesantemente il mio modo di vivere la vita di coppia. Egli sorrise e quasi ghignando rispose: dicono tutti così, peccato che queste infezioni si trasmettono solo tramite rapporto sessuale, e tu, caro ragazzo, non puoi averla beccata in altro modo. Non avevo parole per rispondere e non riuscivo a spiegarmi cosa stesse accadendo o cosa avevo combinato per trovarmi in quella situazione dove l’evidenza dei fatti smentiva ogni mia difesa.

Uscii dallo studio medico distrutto e con in mano l’impegnativa per fare le analisi di ogni tipo, naturalmente non all’ospedale, come mi consigliò il dottore (meglio non far sapere in giro dalla malattia avendo un’attività alimentare) ma presso uno studio privato.

E così fu, andai fuori paese e lo ‘studio’ consigliato era gestito da due medici del gentil sesso, mi vergognavo moltissimo a pensare che mi sarei dovuto spogliare e a far fare quel prelievo molto intimo a una donna ma non potevo tirarmi indietro e così nello stanzino entrammo io e l’analista quasi coetanea anch’essa imbarazzata e forse (come il mio medico) con pregiudizi e pensieri rivolti al fatto di come avessi preso il contagio.

Fortunatamente durò tutto poco, mi fecero accomodare in sala d’aspetto per darmi la risposta delle analisi dopo un’ora. Aspettai quasi due ore e nel frattempo avevo divorato i classici ‘magazine’che si trovano in tutti i posti di quel tipo, ogni tanto i bruciori all’inguine mi ricordavano il motivo del ‘waiting’ che terminò nel momento in cui l’analista chiamava il mio nome:-Bordi, prego da questa parte. Mi accomodai di fronte alla dottoressa che seduta dall’altra parte della scrivania iniziava a mostrarmi il risultato delle analisi, io tremavo di paura sperando di non avere quella maledetta infezione e mentre asciugavo la fronte sudaticcia la bella donna col camice bianco disse:- Stia calmo, non si preoccupi non è grave, vede, dalle analisi risulta che lei non è affetto da ‘sifilide’ sicuramente potrebbe essere un’infezione alimentare comunque le consiglio di approfondire i controlli, magari presso qualche ospedale specializzato.

Mi liquidò così, spedendomi al mittente senza una vera risposta, il giorno dopo ero di nuovo dal medico di famiglia che preoccupato scongiurava che non ci fosse stato qualcosa di peggio e disse:- Speriamo che non sia la ‘CLAMIDIA’ vedi, devi sapere che questa ‘malattia’ è molto pericolosa perché oltre che attaccare la vescica e le vie urinarie va nel sangue ed è molto difficile da curare comunque se presa in tempo non è mortale anche se il periodo di cura è molto lungo diciamo circa due anni.

Ma che bel modo di dare ‘belle notizie’ mi dicevo mentre uscivo dallo studio con una nuova impegnativa. Il giorno dopo ero di nuovo a fare gli esami del sangue ed il solito ‘prelievo intimo’ questa volta in un ospedale(non del paese naturalmente) dove per fortuna l’analista era di sesso maschile e molto confidente. Le risposte degli esami erano pronte per il giorno dopo, passai così quella giornata con molta apprensione anche perché i bruciori ora erano accompagnati da piccole fitte di dolore, non solo all’inguine. Non sono mai stato un ‘piangione’ ma la notte che venne piansi molto perché oltre a quello che poteva accadermi mi sentivo solo, non avendo detto niente ne ai miei genitori ne agli amici, amici che non riuscivano a capire perché rimandassi le prove musicali sempre al giorno dopo considerando che era rimasto poco tempo per arrivare al ‘grande evento’.

Il mattino mi alzai prestissimo, abbattuto e ansioso per la letterina bianca con dentro il risultato degli esami che avrei ritirato all’ufficio analisi, prima di vestirmi andai in bagno per il solito routine e mi accorsi che l’infezione stava avanzando velocemente: il liquido che usciva dal glande stava diventando purolento e la sensazione, oltre che di dolore, era la stessa (almeno credo) che provano le donne quando hanno le loro cose, comunque per sentirmi più ‘pulito’ usai la carta igienica a mo’ di assorbente. Appena arrivai all’ospedale il cuore batteva così forte che se qualcuno ci avesse fatto caso avrebbe visto la sagoma che pompava sotto la maglia. Mentre mi apprestavo di raggiungere il laboratorio una voce conosciuta chiamava il mio nome:- Luca, Luca, vieni ti devo dare una cosa!

Era un amico di gioventù che come mi spiegò poi, lavorava in quell’ospedale e mentre gli andavo incontro sventolava qualcosa tra le mani dicendo:- vieni, guarda ho quello che stai cercando (era la risposta delle analisi) non ti preoccupare non hai niente e scherzosamente aggiunse:-quante ragazzine ti fai? Rimasi senza parole, contento del fatto di non avere niente e sbalordito di constatare che la privacy tanto cercata era andata a farsi fottere, forse sarei rimasto più anonimo se avessi fatto gli esami presso l’ospedale del mio paese; comunque l’importante era non aver ‘niente’ e non vedevo l’ora di portare la letterina al solito medico di famiglia (malfidente e arrogante) il quale a quel punto non poteva negare di essersi sbagliato.

Bene, tutto filava liscio, niente malattia, niente cure e finalmente potevo ritornare a fare le prove con la “Band” tranquillamente senza aver fatto soffrire i miei genitori ancora ignari della piccola odissea accadutami. C’era solo un fatto che mi preoccupava, l’infezione invece di regredire aumentava assieme ai dolori che oramai creavano difficoltà non solo quando facevo ‘pipì’ ma anche la notte quando dormivo per non parlare dei fastidi che sentivo durante il giorno specialmente al lavoro.

Di nuovo dal mio caro medico, nuova visita e nuova impegnativa per fare di nuovo tutte le analisi, ero scoraggiato non sapevo più cosa fare e cadendo in una piccola depressione decisi di raccontare tutto ai miei genitori mettendo da parte la grande vergogna che provavo, anche se non avrei dovuto averla. Mia madre, come sempre, mi credette subito senza alcun dubbio, mio padre bestemmiò, imprecò e poi disse:-prendiamo appuntamento da un bravo dermatologo, ne conosco uno a Perugia e senza perder tempo prese in mano la rubrica per cercare il numero di telefono e senza esitare, appena trovato, chiamò il medico e prese appuntamento per una visita urgente che comunque andava a finire alla prossima settimana. Intanto per accorciare i tempi mi recai all’ospedale(quello del mio paese) per fare le nuove analisi cosicchè a Perugia sarei arrivato provvisto di tutti gli esami più recenti, esami che anche in quel frangente ebbero esito negativo: niente candida, niente sifilide, niente clamidia, niente di niente, mistero!

Cominciavo a preoccuparmi seriamente e pensavo che forse la mia giovane età non avrebbe avuto modo di continuare il suo cammino verso la vecchiaia; ma no! Poi esclamavo facendomi coraggio, non è niente, sicuramente qualche virus intestinale quale nessuno da queste parti è riuscito a diagnosticare, fatto stava che iniziavo a sentire forti dolori anche quando non dovevo urinare e l’infezione da purolenta stava diventando puss, prima biancastro per arrivare al giallastro con filamenti di sangue, non ho mai pregato (non Dio) come in quei giorni affinchè fosse venuto il momento della visita con il dermatologo di Perugia. Aspettando quel giorno cercavo di condurre la vita quotidiana normalmente, lavorando, ridendo, uscendo di casa e facendo le prove con gli amici della Band, considerando che la tanto desiderata ‘uscita’ era per il sabato della settimana che doveva venire.

Perugia m’era sempre piaciuta come cittadina sin da quella volta quando andai a farvi la visita di leva, che spasso con gli amici, tre giorni indimenticabili come è indimenticabile 8arrivato a Perugia) quell’attimo dentro lo studio del famoso dermatologo che con voce profonda e ferma spiegava a mio padre che la faccenda era molto seria e preferiva ricoverarmi d’urgenza all’ospedale della città perché non c’era tempo da perdere. La visita andò così e forse me l’aspettavo ebbi solo il tempo di tornare a casa per prendere i panni di ricambio tante paia di mutande, pigiama, spazzolino, dentifricio ecc…..

Appena arrivai a casa trovai i miei amici (quelli della Band) i quali volevano mettersi d’accordo per fare le prove, avevo il viso sfatto e cercando di nascondere la sofferenza spiegavo loro che avevo dei problemi allo stomaco e sarei mancato alcuni giorni per fare dei controlli in un centro specializzato, e che la serata tanto voluta saltava; credevano stessi scherzando, come ero solito fare, ma capirono subito dal mio sguardo perso che non si trattava di una burla.

I miei amici cercavano di saperne di più chiedendomi che tipo di infezione avessi e quanto tempo sarei rimasto ricoverato, li salutai senza una risposta lasciandoli a guardarsi uno con l’altro increduli dal vedermi comportare in quella maniera.

Passarono due ore ed ero già all’ospedale con il bel pigiama, le pantofole di mio padre ed il morale sotto i piedi. Mio padre, che quel giorno nell’andirivieni guidò l’auto per diverse ore, era stanchissimo e dovette tornare a casa perché il lavoro lo aspettava alle due di notte per iniziare ad impastare il pane quotidiano (a quel tempo eravamo fornai). Rimasi solo in una stanza con due lettini, un comodino e zero bagni, già nemmeno il bagno in camera e con le esigenze di pulizia intima che avevo non era il massimo così mi adattai come potevo: carta igienica.

Mentre cercavo di sistemare le mie cose sopra il tavolo posto all’angolo della stanza una voce con accento africano mi salutò:- Ciao, io sono Mohamhed e tu?

– Luca, risposi, -sei il mio compagno di stanza?

Rispose di si mentre sedeva sul letto cercava di calmare il tremolio che lo assaliva sfregando le mani su tutto il corpo, avevamo gli stessi sintomi e con timore reverenziale gli chiesi il motivo della sua degenza; non seppe darmi una risposta precisa anche perché il suo italiano era molto insicuro e comunque alla fne riuscì a spiegarmi la causa: malattia del sangue, in poche parole a.i.d.s.

Mi prese un colpo, avevo pensato a tutto meno che al virus del H.I.V. le braccia mi caddero a terra e le gambe pian piano perdevano la sensibilità lasciandomi in un equilibrio precario che poi persi completamente svenendo bruscamente sul mio lettino.

Mi ripresi subito, anche se mi sembrava di essere rimasto senza sensi per ore, la scena era sempre la stessa: Mohamhed tremolante che mi guardava stupito e sorpreso dal mio comportamento di uomo debole di fronte a una sciocchezza del genere. Mi stesi sul letto e sentivo il corpo abbandonarsi assalito da formicolii e spasimi che mi lasciavano senza respiro.

I dolori all’inguine e al pene per un attimo erano scomparsi sovrastati dalla paura di essere alla fine della mia vita che malgrado fosse stata vissuta intensamente era pur sempre durata poco……e mi addormentai.

Al mattino presto la voce dell’infermiera mi svegliò, non riuscivo a capire dove fossi se stessi sognando o se mi trovavo in qualche luogo dove qualcuno mi aveva lasciato per farmi scontare i piccoli peccati commessi, ci volle poco per realizzare che era tutto dannatamente vero e mentre la ‘donnona’ (mi venne di chiamare così la robusta infermiera) con varie siringhe iniziava a prelevarmi il sangue dal braccio sinistro mentre con l’altro andavo a cercare di constatare (sotto le lenzuola) la gravità della situazione, chiesi alla donnona informazioni riguardo lo svolgimento della giornata, ovvero cosa dovevo fare, e con voce schietta e limpida rispose:- fra non molto arriverà il primario, un brav’uomo aggiunse, la visiterà e le dirà tutto. Tutto cosa? mi chiesi, mentre sentivo il bisogno di far pipì mi apprestavo a farlo appena l’infermiera finì di infilarmi da tutte le parti

Non ci riuscivo, il dolore era troppo acuto dovetti chinarmi piegando il corpo e aiutarmi con le mani per far uscire prima il puss, poi il sangue e infine finalmente l’urina rossastra che tutto sembrava tranne che pipì. Mi sembrava di avere dei chiodini lungo il dotto deferente che pungevano senza darmi tregua anche dopo aver terminato il “bisogno”. Guadagnai velocemente la mia postazione aspettando il primario che non tardò ad arrivare accompagnato da altri medici, mi fece spogliare, mi visitò e con disinvoltura spiegava agli ‘allievi’ il caso misterioso, disse:- l’infezione c’è, si vede, ma le analisi dicono che è tutto a posto ed è questo che ci preoccupa, vede signor Bordi non sappiamo cosa combattere e di conseguenza quali medicinali usare, abbiamo un’equipe molto avanzata in questo ospedale ma nessuno ha mai visto una cosa del genere per questo abbiamo chiesto aiuto ad altri colleghi di un centro medico specializzato di Milano, abbiamo faxato le sue analisi e oggi pomeriggio ci metteremo in contatto con loro per saperne di più intanto lei dovrà rimanere a letto, fermo, senza agitarsi, per qualsiasi cosa suoni il campanello e l’infermiera sarà subito da lei.

Mi salutò con un cenno del capo chiudendo lentamente gli occhi alzando le spalle come per dire:- spiacente ma non posso dirle di più.

Stavo dimagrendo velocemente e insieme al peso se ne andava anche la forza di credere che stavo vivendo un sogno che pian piano diventava un incubo, purtroppo era tutto vero e quando mi guardavo allo specchio dello squallido bagno realizzavo che il mio corpo si stava asciugando, gli zigomi oramai molto pronunciati e gli occhi spiritati stavano cambiando la fisionomia di un viso che non sembrava più il mio, in quel periodo avevo i capelli molto lunghi li legavo formando un codino quale mi aiutava a passare il tempo giocandoci per ore.

Non avevo più muscoli, tutto si era appiattito, anni e anni di palestra e corsa se ne stavano andando via così in pochi giorni, le mani erano quasi sempre tremolanti e le vene si contavano una ad una sembravano le mani di una persona anziana.

Intanto la donnona mi invitava a mangiare qualcosa portandomi piatti molto gustosi ma io rifiutavo di consumare i pasti dicendole di passarli a Mohamhed il quale non curante della malattia propria aveva molto appetito ed era sempre contento sperando di raggiungere (un giorno morto) quel paradiso che la sua religione gli prometteva.

Io non ho mai creduto in Dio ne in qualsiasi altra forza del bene ma in quel periodo ero molto tentato di pregare e chiedere aiuto, poi pensavo perché dovrebbe aiutare me che non ho mai avuto fede? Così ritornavo sui miei passi invidiando chi aveva sempre creduto e osannato il supremo per avere un gancio dove aggrapparsi.

Ero solo, disperato, perso; i miei genitori e gli amici mi chiamavano spesso per sapere come procedeva la degenza, io li tranquillizzavo rispondendo con falsa allegria che stavo meglio e che forse in una settimana sarei tornato a casa. Passarono due giorno e l’unica cosa positiva era che l’infezione s’era stabilizzata, sempre forti dolori, tremolii, attimi di sconforto totale ma anche una vocina che diceva (dal profondo del mio cuore) – dai Luca ce la puoi fare, non mollare!

In quei due giorni il primario e tutto il seguito vennero spesso a visitarmi, spogliarmi, piccarmi, palparmi e tant’altro, ero diventato una cavia, un pò un fenomeno e ogni volta che chiedevo se c’erano novità la risposta era sempre la stessa:- non siamo ancora riusciti a scoprire quale virus o non so come chiamarlo lei abbia in corpo neanche i colleghi di Milano hanno scoperto cosa sia, e l’ultima volta che il primario venne a trovarmi mi disse che aveva contattato una clinica di Londra e sicuramente il giorno dopo sarebbe arrivato con delle risposte concrete, aggiunse anche che lui doveva partire per una “convention” e lasciava il mio ‘caso’ nelle mani della sua vice, una bellissima donna sui trent’anni biondissima con gli occhi chiari e un corpo da modella, fu lei che il giorno dopo con un viso rassegnato e deluso venne nella mia cameretta chiedendomi di seguirla per una visita; non ci fu una visita e nemmeno un prelievo, mi fece comunque accomodare sul lettino e con gli occhi lucidi e la voce tremolante mi spiegò che da Londra l’unica risposta delle analisi era che avevo tutti i valori del sangue sballati e che nel mio corpo c’era in corso una battaglia alla quali i farmaci in commercio non potevano combattere, ovvero, non c’era niente ma stava accadendo di tutto.

Purtroppo, continuò, la grande preoccupazione è quella che l’infezione giunga al sangue (a quel punto iniziarono a scendere le lacrime dai miei occhi) mi sarebbe rimasto poco tempo da vivere, due o forse tre giorni, dipendeva dalla velocità con cui l’infezione sarebbe arrivata al cuore.

Scoppiai a piangere, forte, portando le mani sul capo che scuotevo con rabbia dicendo no, no, no.

La dottoressa mi abbracciò e accarezzandomi si strinse a me forte forte come una mamma, iniziò a piangere anche lei e singhiozzando, sottovoce mi disse;- Luca tu non morirai, mi prenderò cura di te.

Sapevo che lo diceva per darmi conforto ma volli crederle e l’unica frase che uscì dalla mia bocca fu:-non abbandonatemi!

Mi prese per mano e mi accompagnò nella mia camera, rimase con me a lungo finchè non mi calmai, lei mi parlava e mi spiegava che nel frattempo, aspettando di scoprire qualcosa, avrebbe potuto (con alcuni farmaci) calmare i dolori che mi facevano piegare come un burattino, e rimasi solo.

La sera stava arrivando e come disse la dottoressa i dolori si alleviarono anche se riuscivo a camminare a malapena. Mi sentivo vuoto, sgonfio, finito; prima di addormentarmi scrissi molto nella mia agenda diario e quando terminai mi accorsi che era un testamento, il mio testamento.

Il mattino arrivò velocemente, non perché feci un sonno tranquillo ma perché sogni, immagini, incubi e flash di vita vissuta si susseguirono a catena, a volte accavallandosi, facendomi rivivere il passato così velocemente come mai ero riuscito a fare, appena raggiunsi la lucidità di realizzare dove mi trovavo e cosa stesse accadendo al mio corpo, ripassavo con calma la pellicola che la notte avevo sviluppato, in alcuni momenti credevo di aver visto un film o di aver letto un libro, tutto era confuso, appannato, sdoppiato però allo stesso tempo nitido, chiaro, reale. Mi sembrava di essere salito su di un treno composto da vagoni interminabili, le finestre erano i frame che scorrevano, io camminavo ed ogni frame era una storia vissuta, non potevo certamente non rivivere la brutta avventura passata da militare quando come accennato all’inizio ‘beccai’ la prima ‘uretrite’ certo quella volta fu diverso dopo i primi accertamenti si trovò subito la causa del male, la mia fidanzata appena diciottenne aveva avuto rapporti sessuali non protetti con un “altro” e così inconsciamente, involontariamente, amandomi alla pazzia mi passò quel regalino chiamato ‘sifilide’. La curai in un mese bombardando il mio giovane forte corpo di antibiotici, sembrava tutto a posto, non più dolori, niente puss e pipì chiara gialla opalino, mancava all’appello solo una cosa, la più importante….la mia virilità; non riuscivo più ad avere l’erezione che provavo in tutti i modi di raggiungere cercando di eccitarmi con foto hard prima e films porno poi; niente, non ci riuscivo ed ero disperato, avere diciannove anni ed essere impotente, non lo auguro nemmeno all’uomo più malvagio sulla terra.

Così già quella volta passai sotto le mani di specialisti che con cure distruttive per il fegato e lo stomaco provavano a far partire un motore carico di benzina ma senza pistone. Seguirono poi uno psicologo, uno psicanalista e via di seguito. Il mio cervello era attraversato da tante notizie e informazioni che scontravano tra loro creando un caos totale, ero vicino alla pazzia.

Radunai tutta la mia forza, concentrandomi per andare contro le diagnosi endocrinologhe (che dicevano che dopo una malattia del genere questo poteva accadere e durare per poco, forse tanto tempo o per sempre) contro le mia paure di non poter essere più un galletto, contro gli amici che mi prendevano in giro perché quando si usciva io ero l’unico che non ci provava con nessuna e non ci stava anche quando le belle ragazze si facevano avanti.

Quel periodo mi fece crescere molto interiormente, mi buttai sulla musica, sullo studio che non avevo continuato da piccolino, sulle moto (e qui ho molto da raccontare) e su tutto quello che mi girava attorno lasciando il pianeta donna parcheggiato in una rimessa che forse non avrei più visitato. Sono stati anni bui quelli dal 1982 al 1989 per quanto riguarda la mia vita sessuale anche se pian piano riacquistai la virilità perduta (e non era poco) ero sempre condizionato psicologicamente da quell’evento, conobbi tante ragazze ebbi tantissime storie ma io non ero più la stessa persona, assumevo diverse personalità saltando da una situazione all’altra con una facilità incredibile avevo acquisito una sensibilità non indifferente che mi permetteva di forare (senza far rumore) muri saldi e menti ben impostate. Ogni volta riuscivo a saltare ostacoli più alti e qualsiasi cosa cercavo di ottenere ci riuscivo, ero dr. Jeckill e mr.Hide, Clark Kent e Superman, Cristo in croce e Cristo in terra, non avevo paura di niente e di nessuno tranne che far l’amore perché le paure di un nuovo contagio bloccavano quel motore che ora aveva il pistone a posto ma era scarico di benzina. Neanche il metodo contraccettivo più sicuro (il profilattico) mi metteva al riparo da quella fobia e quando molto vicino all’‘atto materiale’ provavo a srotolare quella gomma sul gelato di panna montata, questi si scioglieva velocemente lasciandomi cadere in paranoie inguaribili sprofondando nel buio pesto dove echeggiavano le mie urla di rabbia e di impotenza.

In quel treno dove i frame scorrevano più velocemente di una normale pellicola vidi me da bambino, tutte le cazzate che avevo combinato, come quella volta ad appena sei anni quando scolai più di mezza bottiglia di ‘stock 84′ (un brandy favoloso) entrando in coma etilico in poche ore, per mia fortuna lo zio a me più caro quella sera mi trovò rivolto sul letto dando l’allarme, tutti credevano mi avesse fatto male qualche cibo avariato ma quando mi portarono d’urgenza all’ospedale la pediatra ci mise poco a capire cosa avevo combinato e disse:- questo bambino è ubriaco, dobbiamo farlo ‘rimettere’ (vomitare) il più presto possibile!

Non ci riuscivano, la situazione era disperata, la dottoressa prese i miei genitori da una parte e quasi con rabbia per la loro ‘disattenzione’ disse:- se questo bambino non vomita lo perdiamo. L’idea geniale la ebbe la caposala, suora e madre spirituale dell’ospedale, diamogli un po’ di caffè amaro disse, forse il contrasto muoverà qualcosa; e così fu, vomitai anche le budella (si fa per dire) e poi trasfusioni, flebo, iniezioni a non finire, dopo tre giorni i medici dichiararono che ero fuori pericolo di vita.

Non ho più bevuto un ‘cognac’ da quella volta e solo l’odore ancora adesso mi ricorda quelle scene che i miei genitori ogni tanto mi raccontavano.

Il film andava avanti e riuscivo a vedere solo le brutte storie passate; a 15 anni in una delle tante domeniche quando con gli amici si andava sui monti a scorrazzare con le moto accidentalmente mi scontrai con mio fratello, caddi a terra privo di sensi, mi ripresi dopo circa mezz’ora ma non ricordavo più nulla e ripetevo sempre le stesse parole: mamma, babbo, mamma, babbo…..i miei amici non sapevano come portarmi all’ospedale (a quel tempo non c’erano i telefonini) così decisero di mettermi in sella alla moto dicendomi di seguire loro che mi avrebbero riportato dai miei genitori, non so come ci riuscii, a casa non c’era nessuno e inconsciamente mi lasciarono sdraiato sul lettino della mia cameretta con mio fratello che faceva la guardia aspettando l’arrivo dei miei cari i quali arrivarono verso sera trovandomi con gli occhi sbarrati senza memoria, via di corsa all’ospedale, ricovero, flebo, iniezioni, medicine e dopo due giorni cominciai a riacquistare la memoria perduta, non descrivo i rimproveri presi quando cominciavo a star meglio, per più di un mese il mal di testa mi fece compagnia e solo dopo qualche anno riuscii a ricordare quella maledetta domenica.

Non fu l’unico trauma cranico subito perché a 21 anni ebbi un incidente più grave durante una gara di motocross: all’atterraggio dopo un salto si bloccò la ruota anteriore, mi sfracellai a terra battendo violentemente il capo, rimasi sotto la moto privo di sensi, la marmitta infuocata premeva su una gamba bruciando i pantaloni di pelle e una coscia, i soccorsi arrivarono subito: ambulanza, ospedale, visite, raggi x , tac…ed io di nuovo senza memoria disteso sul lettino di uno dei tanti ospedali già visitati.

Ancora una volta, come l’hard disk del computer, via memoria, via ricordi e come sempre dopo alcuni giorni pian pianino tutto ritornava a posto per essere pronto ad affrontare nuove avventure.

Luca, Luca, una voce interruppe il mio film, era la donnona che veniva a cambiare la flebo antidolorifica e mentre procedeva con l’innesto mi anticipava che la bella dottoressa sarebbe arrivata dopo pochi minuti per inserire una specie di catetere per aspirare il puss quasi solido in modo di permettermi di urinare con meno difficoltà, così fu…

Non riesco a spiegare il dolore lancinante che provai durante quella merda di aspirazione, chi non c’è passato non può immaginarlo.

Finito il ‘filtraggio’ la bella, con un lieve sorriso di rassicurazione mi sussurrò:-sai c’è una cosa di positivo, con un’infezione del genere dovresti avere la febbre altissima invece niente, sembra che il tuo corpo stia combattendo con altre armi, non so cosa, e una persona della mia posizione non dovrebbe dire queste parole ma sono fiduciosa di questo fatto perché non m’era mai capitato, la guardai con un pizzico di scetticismo e allo stesso tempo con una leggera approvazione, non potevo escludere quella sua dichiarazione senza fondamenta perché mi dava più coraggio. Dopo quelle parole mi sentivo più forte, qualcosa si stava muovendo e appena mi tolsero la flebo e il ‘catetere aspiratutto’ mi voltai verso Mohamed che mi fissava con uno sguardo da bambino birichino, gli chiesi cosa aveva da guardare in quel modo e quasi ghignando mi chiese:- Vieni con me?

Dove, risposi sorpreso, e lui:- Andiamo a fare un giro, ho la macchina parcheggiata fuori dopotutto cosa abbiamo da perdere? Rimasi in silenzio per quasi un minuto chiedendomi se era matto o se dava fuori di testa, dal modo in cui mi guardava capii che non scherzava, ancora silenzio e poi con un sorriso di ribellione dissi:-Andiamo, cosa abbiamo da perdere? Mohamed prese le chiavi dell’auto dal cassetto del comodino e mi fece cenno di seguirlo io non esitai e con disinvoltura, claudicanti, ci avviammo verso l’uscita. Percorrendo il lungo corridoio che collegava la nostra palazzina con quella centrale, ridevamo come dei ragazzini noncuranti di quello che stavamo combinando, appena fuori dall’ospedale realizzai che eravamo in pigiama, lo feci notare a Mohamed, lui rise e io di più.

E via per le viuzze di Perugia con una golf sgangherata color beige sbiadito, dentro l’auto c’era di tutto, era sudicia e piena di polvere, puzzava di fogna ma quell’odore non era quello dell’ospedale e mi andava bene, abbiamo gironzolato per circa un’ora e solo la spia del carburante che lampeggiava ci fece tornare all’ovile non prima di fermarci a prendere un drink al bar, ci guardavano tutti sembravamo due pazzi fuggiti dal sanatorio, io presi un cappuccino (molto caldo) Mohamed incredibilmente si fece un Martini e continuavamo a ridere, poi ancora chiedemmo se potevano servirci un wisky, il barista sorpreso e impaurito ci disse:- va bene però poi sparite subito e le bevute ve le offro io.

La cosa ci andava bene anche perché non avevamo i soldi per pagare e ridevamo, Mohamed mi parlava in marocchino ed io in dialetto settempedano, quando arrivammo all’ospedale tutto era come prima, nessuno s’era accorto della nostra fuga tranne la donnona che appena si avvicinò al mio letto esclamò:- ma hai bevuto!

Probabilmente in un ambiente come l’ospedale dove gli odori che ci si abitua a sentire sono sempre gli stessi una piccola dose di wisky scopriva subito il malto fermentato.

Alla domanda della donnona risposi prontamente con un si spavaldo e ribelle quasi di sfida contro tutto il male che s’era impossessato del mio corpo senza farsi riconoscere; la donnona iniziò ad urlare e mentre aggiustava le coperte del mio letto con rabbia guardò Mohamed che rideva e gli rivolse degli insulti sentenziandolo istigatore della bravata, arrivarono degli infermieri allertati dalle urla, poi qualche altro paziente ricoverato nelle camere vicine e infine il primario fresco del ritorno dalla convention.

Si calmarono le acque e quando terminai di spiegare cosa avevamo combinato lui sorrise ed esclamò:-roba da matti! E senza scaldarsi con la solita calma ci spiegò che nella situazione in cui ci trovavamo non potevamo permetterci ne’ di andare in giro ne’ tanto meno di bere bevande alcoliche le quali aumentavano la secrezione del puss. Quella sua calma mi insospettì e mi allarmò facendomi tirare la somma del mio problema, se non s’è arrabbiato il primario, dissi, significa che la faccenda è veramente molto grave, sembrava quasi fosse acconsenziente (considerando che mi rimaneva poco da vivere) a quella bravata.

Cedetti di colpo scoppiando a piangere violentemente, non riuscivo a prendere fiato tremavo di freddo e di caldo poi di paura, paura di morire, di lasciare i miei cari (che ancora non sapevano la verità), i miei amici e tutto quello che avevo costruito intorno a me, durai a lungo a piangere e non riuscivo a calmarmi, ci riuscirono verso sera le flebo che mi spararono con velocità doppia delle altre volte, e venne sera.

L’unica cosa che riuscivo a fare (fra immense vampate di calore e improvvisi brividi di freddo glaciale) era quella di ripercorrere la pellicola della mia vita ricordando tutte le situazioni dove avevo rischiato molto schivando comunque sempre la morte.

Ripensavo a quella volta quando il menisco del ginocchio destro si spezzò durante un allenamento e mio padre onnipresente mi portò all’ospedale per fare gli accertamenti, l’ortopedico disse che bisognava operare subito ma io non volevo perché c’era in ballo il campionato italiano e non potevo mancare alla terza prova considerando che ero secondo in classifica assoluta così mentre aspettavamo il foglio di ricovero lasciammo l’ospedale, io in spalla a mio padre perché non riuscivo a camminare, durante la settimana prima della gara usai ogni genere di pomata per assorbire il liquido che non mi permetteva di piegare la gamba, arrivò il giorno della gara e fasciando il ginocchio malandato riuscii a parteciparvi con successo tagliando il traguardo in terza posizione portando a casa punti preziosi per la classifica. Negli anni a venire quel ginocchio malandato mi ha creato sempre dei problemi cosicchè decisi di fare l’intervento ma quando andai al centro ortopedico per ritirare le lastre dei raggi x la diagnosi diceva che avevo solo una piccola lesione al menisco e i legamenti a posto perciò l’operazione non valeva la pena di eseguirla, dopo alcuni mesi il ginocchio guarì completamente e ancora oggi mi permette di fare qualsiasi tipo di sport.

La pellicola della mia vita sembrava interminabile e mi proponeva ancora gli incidenti passati.

Una sera prima di andare in discoteca mi trovavo con i miei due migliori amici, tanta allegria e qualche bicchiere di troppo ci fece sbandare con una vecchia ‘500′, l’impatto fu violentissimo, la macchina era distrutta e noi sbalzati fuori dall’abitacolo, ci alzammo in piedi senza un graffio con i vestiti strappati e la spavalderia di essere indistruttibili.

Già molte volte ho creduto di essere indistruttibile perché dopo tutte le botte prese o rimanevo illeso o dopo varie rotture riuscivo ad aggiustarmi velocemente per tornare operativo. Ricordo che sempre con la moto, atterrando da un salto, senza cadere, presi una violenta botta alle caviglie e alla prima visita ortopedica dopo aver fatto gli ennesimi raggi x i medici dissero che avevo i malleoli frantumati e bisognava operare prima che le schegge si sparpagliassero, aspettando che si asciugasse l’ematoma mi immobilizzarono le caviglie con una fasciatura rigida, dopo qualche giorno prima dell’operazione dovetti fare di nuovo i raggi x e incredibilmente i malleoli già si stavano ricomponendo così decisero di ingessare le due caviglie senza intervenire chirurgicamente; dissero che dovevo tenere il gesso per sessanta giorni ma al quarantatreesimo mi tolsi il gesso da solo perché sentivo che i piedi erano a posto, in un giro di un mese tornai a giocare a calcio e ad andare in moto al contrario di come mi consigliò l’ortopedico, ovvero aspettare almeno quattro o cinque mesi.

Accadde la stessa cosa quando la spalla destra, in seguito ad un caduta si ruppe, la diagnosi diceva: distacco omero-scapolare perciò o dovevo fare un intervento e portare il gesso per circa 25-30 giorni o dovevo ingessare tutto il busto (lasciando la spalla sinistra libera) per più di quaranta giorni. Decisi per la seconda.

Al diciassettesimo giorno tolsi il gesso da solo e dopo una settimana ero già in pista per fare una gara. Che strano!

Tornai di nuovo alla realtà perché il dolore stava aumentando facendomi perdere la sensibilità dei piedi e delle mani, lo stomaco prendeva fuoco e quando per curiosità tirai su la maglia del pigiama scoprii che ero tutto rosso partendo dall’inguine sino al petto, suonai subito il campanello che fece accorrere la donnona, mi trovò in condizioni disperate, stavo avendo una crisi epilettica arrivarono subito dei medici e giù iniezioni per farmi riprendere, nel frattempo arrivò anche il primario con la vice, mi controllarono e confabulando fra loro dissero:- Non c’è più tempo da perdere, iniziamo con ogni tipo di antibiotico e speriamo che sia quello giusto.

Purtroppo all’istante non poterono iniettarmi nessun medicinale perché sarebbe andato in conflitto con quelli assunti precedentemente, si rivolsero a me impauriti a sconcertati dal fatto che erano impotenti di fronte a quel male misterioso, poi il primario cercando di tenere la situazione sotto controllo disse:-inizieremo domani, lasciò un infermiere di guardia e mi chiese se avevo dei parenti da avvisare nel caso non avessi voluto far sapere la situazione direttamente ai miei genitori, mi raccomandai di non chiamare nessuno e di aspettare il giorno dopo (se ci fosse stato).

Molto lentamente mi ripresi, era sera, un silenzio assoluto, tutti dormivano anche l’infermiere che badava a me, lo chiamai e gli suggerii di andare perché stavo meglio, non esitò e rimasi solo, volevo star solo, volevo pensare, ripercorrere ancora il passato e immaginare quante cose avrei potuto fare in futuro, quel futuro che alla luce dei fatti non ci sarebbe stato. Il soffitto della camera era pieno di stelle e le contavo come facevo a Rimini quando ero in vacanza. La stanza non aveva più pareti e provai a volare col pensiero per cercare i miei genitori, i parenti, gli amici, nella mia immaginazione li vedevo, li accarezzavo, li baciavo ed uno ad uno l’abbracciavo, forte, forte, forte.

Che sensazione, sembrava tutto vero, il mio corpo immobile su quel lettino e lo spirito che viaggiava leggero spargendo lacrime di gioia per non far soffrire chi avrebbe sentito la mia mancanza.

Sentivo che stava succedendo qualcosa di immenso, stavo bene anche se non riuscivo a muovermi, soltanto gli occhi spalancati avevano libero movimento, soltanto i miei occhi riuscivano a vedere quella macchia nera alla mia destra, una forma indefinita, il cuore batteva così forte che rimbombava nelle tempie, non riuscivo a muovermi forse era la paura di quella figura scura con sembianze umane forse era il male impossessato del mio corpo, forse ero in uno stato di catalessi.

Passai tutta la notte in quella situazione, la paura pian piano lasciava il posto al coraggio e la voglia di continuare a vivere, nelle vene sentivo il sangue malato scorrere velocemente e la scura figura non mi lasciò per un attimo, non riuscivo a spiegarmi chi fosse, forse un angelo, forse il diavolo, forse un’entità sconosciuta o forse solo la mia immaginazione, non era la prima volta che quella ‘cosa’ mi appariva era già successo ed ogni volta che avevo vissuto quell’incontro io non riuscivo a muovermi ma quella notte, al contrario delle altre volte mi tenne compagnia a lungo.

Stranamente, anche se immobilizzato, non sentivo nessun dolore, ero lucido di mente e molto presente.

Arrivò il mattino, mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno, feci la pipì e tornai al letto, mi rialzai di scatto corsi di nuovo verso il bagno mi girava la testa mi inginocchiai con la faccia rivolta verso il water e iniziai a vomitare, non era quel poco che avevo mangiato il giorno prima, era bile che poi si mischiò col sangue e ancora una bava biancastra poi giallina, gli sforzi dello stomaco mi fecero perdere i sensi. Mi trovarono così, disteso sul pavimento del cesso, fu Mohamed a chiamare gli infermieri, un po’ assente ma con il viso disteso e compiaciuto.

Arrivò anche la ‘donnona’ e la ‘bella’ mi sollevarono (con facilità perché oramai pesavo poco più di sessanta chili) e mi appoggiarono sul lettino, la “vice” mentre mi schiaffeggiava per farmi riprendere mi chiedeva come stavo, cosa mi sentivo; sorrisi coprendomi il capo per ripararmi da quegli schiaffi e ripetevo: bene, molto bene, la ‘mammina adottiva’ mi guardava stupita, fece uscire tutti dalla stanza e si raccomandò alla donnona di chiamare a casa il primario, rimasti soli mi spogliò, dai suoi occhi increduli capivo che era accaduto qualcosa di grande, alzai il capo e realizzai che il rossore sul corpo non c’era più, lei mi palpava e strizzava il pene per vedere la progressione dell’infezione, c’erano solo dei piccoli filamenti, poi premeva con forza sull’inguine, sullo stomaco, da tutte le parti, chiedendomi se sentivo dolore, niente stavo bene, si che mi sentivo debole e spossato ma stavo incredibilmente bene; intanto arrivò il primario che con passo veloce e marcato puntava verso la sua vice chiedendole cosa stesse accadendo, lei gli fece cenno di andare fuori dalla stanza per spiegare la situazione lontano dai miei orecchi, si allontanarono lasciandomi solo per qualche minuto; in quel poco tempo riflettevo su quello che era successo, sedetti sul lettino appoggiando la schiena sui cuscini aggiustati a mo’ di sofà e ritornavo a guardare lo stomaco senza un filo di grasso e senza nessun tipo di colore allarmante poi guardai più giù e mi toccavo come fece poco prima la dottoressa sentivo solo pochissimo dolore e niente bruciore, niente chiodini, mi chiedevo se era tutto vero mi toccavo il viso e il resto del corpo, c’ero, ero presente, sveglio….vivo.

Ritornarono i medici, questa volta i loro visi erano distesi e stupefatti e mi dissero:- questa mattina dovevamo iniziare a somministrare gli antibiotici ma sembra (non sappiamo come) che l’infezione stia arretrando, non ci crediamo, potrebbe esplodere di nuovo, aspettiamo e vediamo. Rimasi di nuovo solo, avevo una fame da leone, provai ad alzarmi e sembrava tutto a posto, presi il portafogli e via la bar dell’ospedale che si trovava vicino all’ingresso. C’era da camminare parecchio perché la palazzina dove alloggiavo stava quasi in fondo, strano ospedale, sembrava quasi una caserma.

Ogni reparto una palazzina a due piani come se fosse una compagnia, una lunga strada al centro dove si poteva marciare e in fondo messi per traverso gli edifici amministrativi come se fosse la ‘Maggiorità’.

Al bar mi sparai tre brioches con la crema e due cappuccini (molto caldi) lo stomaco quasi mi scoppiava, non ero più abituato a quel tipo di colazione, comprai il giornale anche se non lo lessi, e tornai in ‘camerata’ sul mio bel lettino, mi misi sottocoperta, m’accucciai e tutto rannicchiato mi godevo quegli attimi di benessere senza sottovalutare quello che i medici avevano detto in precedenza.

Passarono delle ore, non dormivo, pensavo, pensavo, pensavo……

All’ora di pranzo spolverai i piatti che la donnona mi passò con sguardi sorpresi ed occhi sbalorditi e mi chiese:- Luca, come stai? Ed io:- Bene, molto bene.

Le scesero delle lacrime e mi accarezzò sussurrandomi:- Ragazzo benedetto.

Forse le ricordavo un figlio o un nipote e mentre continuava ad accarezzarmi il capo mi avvisò che finito di mangiare i medici mi aspettavano nell’ambulatorio delle visite; andai, mi visitarono e mi dissero le stesse parole della mattina: aspettiamo.

Arrivò la sera, nel frattempo andai al bagno diverse volte e con una gioia immensa non sentivo più nessun disturbo, sembravo guarito! Volevo crederci, naturalmente senza illudermi, prima di coricarmi telefonai a casa, rispose mia madre. Piangeva, perché era passata una settimana e ancora non le davo notizie concrete, voleva venire a trovarmi, la tranquillizzai:- è tutto a posto fra due giorni sarò a casa, vi chiamo domani per farvi sapere a che ora dovrete venire a prendermi, poi vi spiegherò cosa è successo, non preoccupatevi va tutto bene. Ci salutammo e velocemente andai a letto, ben accucciato, felice, leggero, rilassato e mi addormentai.

Quella notte non me la dimenticherò mai, fu una notte piena di gioia, vissuta con una calma assoluta, una pace immensa.

Arrivò il mattino, con timore, prima di recarmi al bagno allungai una mano, sembrava tutto a posto, mi guardai con molta attenzione, tutto ok, era rimasta la prova del nove: fare pipì.

Andai, presi la mira, chiusi gli occhi, contrassi i nervi del viso e fuori…..urina chiarissima, niente puss, niente sangue niente di niente, ero guarito!!

Ripetevo la parola ‘evviva’, avrei voluto saltare sopra il letto, far capriole, urlare, abbracciare il mondo ma purtroppo ero solo, neanche Mohamed era lì, il giorno prima fu trasferito in un altro ospedale, andai in giro per le camerate a cercare qualche infermiere e medico ma era ancora troppo presto, gli unici due infermieri stavano ronfando sulle sdraio poste nell’ambulatorio, tornai a letto e sveglissimo aspettavo l’arrivo dei medici, non riuscivo a stare a letto, mi alzavo di continuo, mi affacciavo dalla finestra, gironzolavo per la palazzina, mi toccavo, mi stiravo, facevo dei piccoli balletti e mi rimettevo a letto.

Arrivarono i medici e mentre mi spogliavano io ridevo, ridevo, senza far sentire la voce e li guardavo spiritosamente e orgoglioso del fatto accaduto. Loro si guardavano e con il capo facevano cenno di si, poi di no, poi booo?! E ancora:- aspettiamo, vediamo come va oggi pomeriggio e giù analisi, prelievi del sangue, delle urine e tamponi da tutti le parti: avanti, dietro, sopra, sotto….

Arrivò il pomeriggio, mi convocarono nell’ufficio del primario, prima di andare a rapporto passai quasi un’ora al bagno, mi lavai a lungo, tagliai la barba e pettinavo i miei capelli lunghi, castani e leggermente arricciati ( sembravano quasi più spessi) e li pettinavo, li accarezzavo portandoli tutti indietro poi con la riga a sinistra ora al centro e mi specchiavo, passavo le mani su tutto il corpo sfiorandomi, stringendomi in un abbraccio saldo e mi dicevo:- Quanto sei bello, bello, bello e lo ripetevo e poi, bravo, bravo, bravo e continuavo con tutte le parole più carine che trovavo.

Nell’ufficio c’erano il primario, la bella bionda (che ora guardavo con altri occhi) e altri due medici, mi fecero accomodare e sorridenti e perplessi restando in piedi si guardarono per poi lasciare la parola al capo il quale molto imbarazzato disse:- Signor Bordi non abbiamo parole per spiegarle quello che le è successo e a dire la verità non lo sappiamo, sappiamo solo che lei sembra guarito, durante la sua degenza tutto è stato strano, infezione visibile agli occhi ma non al microscopio, subito pensavamo fosse affetto dal virus dall’HIV ma le analisi tutte sballate non ci permettevano di constatare la positività, comunque alcuni anticorpi che si stavano formando non potevano negarlo, abbiamo pensato che si stesse formando un nuovo virus di cui lei è portatore sano ma incredibilmente i valori delle analisi del sangue sono tornati tutti a posto, sembra che lei non abbia avuto niente non è affetto ad HIV, da epatite o altra malattia, lei è sano come un pesce.

Siamo sbalorditi, un’infezione del genere non scompare in un giorno, sa cosa le dico, se non fossi uno scienziato e perciò non credente, direi proprio che è stato un miracolo!!!

Non abbiamo altre spiegazioni e da domani mattina sarà dimesso, le consigliamo di restare in contatto con noi per fare dei controlli frequenti, interruppi il discorso e un po’ timoroso gli dissi che volevo andare in vacanza a Londra, bene, rispose, le darò l’indirizzo della clinica con la quale siamo in contatto, là c’è un medico italiano e l’informerò del giorno del suo arrivo così potrà tenersi sotto controllo.

Mi diedero la mano, uscii dall’ufficio per tornare nella mia camera, m’infilai sotto le lenzuola e cominciai a pensare….

Dopo circa cinque minuti arrivò la bella dottoressa, sorridente, radiante, stupenda e mi disse:- volevo salutarti a quattr’occhi perché forse domani non ci sarò, come ti senti?

Risposi:.-immenso, grande ma allo stesso tempo indifeso. E lei:- Ti capisco, ti auguro tanta fortuna e felicità.

Le chiesi cosa sarebbe stato di me, a quali problemi sarei andato incontro, considerato che le avevo raccontato delle mie difficoltà col ‘sesso’, annuì e rispose che sarebbe stato meglio (appena fuori) contattare un andrologo il quale mi avrebbe guidato verso la guarigione e spiegato alcune cose… non mi rassegnai e insistetti sul fatto della virilità ma lei, forse perché donna, non voleva continuare quel discorso ma neanche voleva lasciarmi con dei dubbi e dopo un lungo silenzio mi prese la mano e cominciò a parlare:- La vita è tanto strana, da un giorno all’altro può accadere di tutto, cose belle e cose brutte, quello che è capitato a te è stata una cosa bella ma potrebbe lasciarti delle brutte sorprese, hai tanta strada da fare, sei un ragazzo forte, coraggioso e sono sicura che vincerai anche questa battaglia anche se infezioni del genere lasciano il segno, non parlo solo del fatto di andare incontro a fattori psicologici ma anche a seri problemi con la virilità.

Ce l’hai fatta una volta e ce la farai ancora, ma in molti casi, purtroppo, (con un nodo alla gola disse) si diventa sterili.

Ci fu silenzio, tanta sofferenza ma niente lacrime (forse le avevo già versate tutte i giorni precedenti). Io non ero scosso più di tanto perché ai figli non ci avevo mai pensato e perciò non mi interessava se il futuro mi avrebbe privato di una prole, quello che mi interessava era se l’impianto idraulico avrebbe funzionato ancora.

-Ora devo andare, rompendo il silenzio disse la ‘mammina’, portò la mano sul mio capo, mi accarezzò e sorridendo con tanta bontà se ne andò, quello fu l’ultimo giorno che la vidi ma ancora oggi la ricordo come un leone non dimentica chi gli ha tolto la spina dalla zampa.

Arrivò la sera, nel frattempo avevo chiamato i miei cari per dir loro che il domani sarebbero potuti venire a prelevarmi da quello squallido ospedale, fu una serata strana, ebbi tante visite, pazienti che si trovavano nelle altre camere, i vari infermieri compresa la donnona, qualche medico e persino la donna delle pulizie; ognuno mi chiedeva, mi scrutava, mi interrogava e comunque alla fine mi toccava come se volesse prendere o farsi passare quel qualcosa di magico che mi aveva salvato.

Ne ero contento e dicevo dentro di me:- se davvero ho qualcosa da dare perché devo tenerlo dentro, perché non crederci?

Personalmente sentivo tanta energia, non riuscirò mai a spiegarla con le parole ma chi mi conosce molto bene sa cosa voglio dire.

Non ho nessun ricordo dell’ultima notte passata in ospedale, stranamente è come se non ci fosse stata, ho cercato molte volte di riviverla ma niente è come se qualcuno l’avesse cancellata e come se non l’avessi vissuta.

Al mattino, non ricordo se mi svegliai o se non avevo dormito, ricordo solo che ero sano, puro, rigenerato.

Arrivarono i miei amici per portarmi a casa, in una mano avevo il foglio di dimissione, le valigie erano pronte (forse le avevo sistemate durante la notte) nell’altra mano tenevo stretta la cartella clinica che studiavo in ogni particolare e alla voce negativo all’HIV andavo in loop. I miei amici erano curiosissimi di sapere cosa fosse successo, dissi loro che durante il ritorno, avrei spiegato la storia accadutam.

Mentre percorrevamo il vialone che portava all’uscita riconobbi l’ambulatorio dove nove anni prima (durante il servizio di leva a Foligno) mi recavo spesso per donare il sangue e le piastrine a un colonnello della mia caserma (malato di leucemia) e pensai con orgoglio sentendomi un gigante:- Qua ero venuto per donare la vita e da qui me ne vado dopo essermi ripreso la vita.

Sapevo che quella strana storia avrebbe sconvolto ancora di più il mio modo di vivere, sapevo quanti problemi avrei avuto ancora col sesso e con la mia mente ma non avevo paura perché oltre che a sentirmi un gigante dalla mia parte c’erano loro: la famiglia, gli amici, la vita….e forse qualcun altro.